LA SUPREMA CORTE BRITANNICA VALUTA LA LEGALITÀ DELLA LEGGE SCOZZESE SULL’USCITA DEL REGNO UNITO DALL’UNIONE EUROPEA

Il 21 marzo 2018 il Parlamento Scozzese ha approvato lo UK Withdrawal from the European Union (Legal Continuity) (Scotland) Bill (“Scottish Continuity Bill”), la legge con cui la Scozia si prepara all’uscita del Regno Unito dall’Unione.

Lo Scottish Continuity Bill può essere considerato la versione scozzese dell’EU Withdrawal Bill, la legge britannica che regola l’uscita del Regno Unito dall’Unione. Nell’ordinamento britannico, il Governo centrale ha devoluto alcuni poteri in determinate materie al Parlamento Scozzese, ad esempio, in materia di agricoltura e pesca. Il potere di emanare leggi in alcuni di questi settori spetta oggi all’Unione Europea. Quando il Regno Unito uscirà dall’Unione, detti poteri torneranno di competenza del Governo centrale o, se del caso, dei Governi locali come quello scozzese, e ciò rappresenta un’ulteriore difficoltà nel già complesso progetto per una Brexit ordinata. Nel Regno Unito sono già sorte polemiche sulla possibilità che anche i poteri devoluti tornino per un primo periodo nelle mani del Governo centrale e il Ministro scozzese per la Brexit Mike Russell ha accusato il Governo britannico di utilizzare la Brexit per riappropriarsi dei poteri devoluti senza un accordo con il Parlamento Scozzese.

Lo Scottish Continuity Bill potrebbe rivelarsi particolarmente critico nel caso in cui il Parlamento Scozzese decidesse di non controfirmare le leggi provenienti dal Parlamento Britannico relative alle materie devolute. L’EU Withdrawal Bill contiene, infatti, diverse disposizioni afferenti a materie di competenza del Parlamento Scozzese che, dunque, dovrebbero essere controfirmate per accettazione.

Il 17 aprile 2018 il Governo britannico ha chiesto alla Corte Suprema di esprimersi sulla legittimità della legge scozzese, in particolare, se lo Scottish Continuity Bill rispetti i limiti a cui è soggetto il Parlamento Scozzese sulla base dei poteri devoluti.

Il 24 e il 25 luglio 2018 si è tenuta la prima udienza del procedimento, durante la quale il Procuratore Generale per la Scozia del Governo britannico ha sostenuto l’incompatibilità dello Scottish Continuity Bill con l’EU Withdrawal Bill. Il Procuratore Generale ha sottolineato che l’EU Withdrawal Bill non era stato ancora approvato quando lo Scottish Continuity Bill venne votato, ma costituisce oggi una legislazione “privilegiata” che non può essere modificata dai Parlamenti nazionali. Il Procuratore Generale ha aggiunto che lo Scottish Continuity Bill travalicherebbe i poteri devoluti al Parlamento Scozzese occupandosi anche di relazioni internazionali, materia di esclusiva competenza del Parlamento Britannico. Il Lord Advocate scozzese, una sorta di Avvocato Generale per la Scozia, ha ribattuto che la definizione di relazioni internazionali presa in considerazione è troppo ampia, precisando che il diritto dell’Unione Europea non può essere considerato una competenza esclusiva del Governo centrale e che lo Scottish Continuity Bill avrebbe effetti solo sulla legislazione domestica. Quindi, non potrebbe in alcun modo interferire con i negoziati in atto tra Regno Unito e Unione Europea. Il Lord Advocate ha infine sostenuto che, essendo lo Scottish Continuity Bill stato approvato ben prima che l’EU Withdrawal Bill diventasse legge, il suo scopo non era quello di modificare la legge britannica, quanto piuttosto di predisporre una soluzione per far fronte a tutti i possibili scenari derivanti dall’uscita del Regno Unito dall’Unione in modo da assicurare la certezza del diritto.

Al procedimento hanno preso parte anche i rappresentanti del Galles e dell’Irlanda del Nord in qualità di intervenienti a sostegno della Scozia.

Visto la complessità del caso, i sette giudici della Corte Suprema si sono riservati e la sentenza è attesa per il prossimo autunno.

 

Davide Scavuzzo