Dopo l’approvazione dell’emendamento Letwin il 19 ottobre 2019, che di fatto sospende la ratifica dell’accordo raggiunto da Boris Johnson con l’Unione Europea fino all’approvazione di tutta la relativa legislazione, se necessario anche oltre la scadenza del 31 ottobre 2019, in data 22 ottobre il Parlamento di Westminster, un po’ a sorpresa, ha votato a favore del Withdrawal Agreement Bill, la legge attuativa che permette l’uscita del Regno Unito dall’Unione nel rispetto di tale accordo.

Il 29 marzo 2019, con 344 voti contro 286, il Parlamento britannico ha respinto per la terza volta l’Accordo di uscita presentato dalla Premier britannica Theresa May. Ciò implica che la proroga concessa dal Consiglio Europeo fino al 22 maggio 2019 non sarà applicabile e che il Regno Unito dovrà ora indicare il percorso che intende seguire entro il 12 aprile 2019.

La sentenza del 24 gennaio rappresenta il passaggio conclusivo di una vicenda giudiziaria che ha preso il via pochi giorni dopo il referendum del 23 giugno 2016. Infatti, già il 26 giugno 2016, una prima azione giudiziaria sulla necessità di sottoporre al voto parlamentare la possibilità di invocare l’art. 50 era stata instaurata dal Sig. Deir Dos Santos.

Il 24 gennaio 2017, la Corte Suprema, presieduta da Lord Neuberger, ha deciso che il Governo britannico non può attivare la clausola di recesso dall’Unione di cui all’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea prima del voto favorevole da parte del Parlamento. A favore di tale soluzione hanno votato otto giudici contro tre contrari dissenzienti.