CITTADINANZA EUROPEA E DIRITTO DEI TRATATTI. LA CORTE DI GIUSTIZIA SARÀ CHIAMATA AD ESPRIMERSI SUI DIRITTI DEI CITTADINI BRITANNICI POST-BREXIT

A seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale in via di inoltro da parte del Tribunale di Amsterdam, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrà esprimersi sulle conseguenze della Brexit sul diritto di cittadinanza europea dei cittadini britannici. La domanda è sorta nell’ambito di un procedimento intentato da cinque cittadini britannici residenti nei Paesi Bassi contro lo Stato Olandese ed il Comune di Amsterdam in merito all’eventuale perdita della cittadinanza europea dopo che la Brexit sarà divenuta effettiva.

Come già segnalato nella nostra analisi “Diritti quesiti a rischio con la hard Brexit?” (disponibile al seguente LINK), ai sensi dell’articolo 20 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), “… la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce…”. Il diritto di cittadinanza dell’Unione è probabilmente il più significativo dei diritti quesiti, vale a dire, quei diritti già acquisiti dai cittadini europei che hanno deciso di trascorrere la loro vita, o parte di essa, nel Regno Unito, e dai cittadini britannici che hanno a loro volta scelto di spostarsi sul continente. A livello europeo, sono considerati diritti quesiti quelli consacrati dai Trattati e dall’acquis comunitario, quali il diritto a dimorare e viaggiare liberamente in qualsiasi Stato Membro, votare e candidarsi alle elezioni europee e locali e godere della protezione consolare e diplomatica europea in altre parti del mondo[1]. Tali diritti sono ribaditi anche dal Titolo V della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea[2], mentre la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) non contiene disposizioni specifiche in materia di cittadinanza. Tuttavia, tale Convenzione tutela la libertà di circolazione e residenza dei cittadini che si trovano regolarmente nel territorio di uno Stato contraente[3]. Essa tutela altresì alcuni diritti correlati come, ad esempio, la protezione della proprietà e della famiglia[4].

Per i cinque cittadini britannici, la cittadinanza europea, ed i diritti e libertà ad essa connessi, dovrebbero essere considerati diritti irrevocabili. Il Governo dei Paesi Bassi, invece, ritiene che essendo i negoziati sulla Brexit ancora in corso, il giudice nazionale, allo stato attuale, non potrebbe esprimersi sulla questione. Secondo il giudice olandese, è discutibile che la Brexit porti automaticamente alla perdita della cittadinanza europea per i cittadini britannici residenti nel territorio dell’Unione, in quanto, a suo avviso, le persone che hanno acquisito determinati diritti dovrebbero in ogni caso godere di protezione.

I Trattati costituitivi, ed in particolar modo l’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), non disciplinano le conseguenze che il recesso di uno Stato Membro può avere sui diritti già acquisiti dai cittadini dell’Unione. Le conseguenze della risoluzione di un trattato sono disciplinate, in via generale, dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul Diritto dei Trattati[5], ed in particolare dal suo articolo 70, che prevede che la cessazione di un trattato non pregiudica i diritti, gli obblighi o le situazioni giuridiche delle parti che siano venuti a crearsi a motivo dell’esecuzione del trattato prima della sua cessazione[6]. Tuttavia, le parti a cui si fa riferimento in questo articolo non sono gli individui, ma gli Stati contraenti. Questa interpretazione è stata confermata dalla Commissione per il Diritto Internazionale delle Nazioni Unite[7] nel commento all’articolo 66 della Convenzione (ora articolo 70)[8].

Ciò viene anche riconosciuto dal Tribunale di Amstedam, per il quale la Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati fa riferimento alle conseguenze legali che un trattato crea tra gli Stati, mentre il TUE ed il TFUE non solo creano diritti e obblighi tra gli Stati, ma anche diritti e doveri per i cittadini dell’Unione. Contrariamente ad altri Trattati bilaterali e multilaterali, il TUE e il TFUE istituiscono, infatti, un ordinamento autonomo indipendente dagli ordinamenti nazionali, per il quale gli Stati Membri hanno autolimitato la loro sovranità.

Così come la Convenzione di Vienna stabilisce la procedura da seguire nel caso in cui uno Stato decida di ritirarsi da un trattato e le possibili conseguenze sulle situazioni venutesi a creare durante la sua applicazione, il TUE prevede una procedura da seguire nel caso in cui uno Stato Membro intenda recedere dall’Unione (articolo 50), ma non stabilisce quali siano le conseguenze per i diritti dei singoli.  Secondo il Tribunale olandese, alla questione dello status giuridico post-Brexit dei cittadini del Regno Unito residenti in un altro Stato Membro dell’Unione, con particolare riguardo ai diritti e alle libertà derivanti dall’articolo 20 TFUE, dovrebbe essere fornita una risposta sulla base del diritto dell’Unione stesso.

Pur rilevando che il diritto alla cittadinanza europea è riservato ai cittadini degli Stati Membri dell’Unione (mentre il Regno Unito diverrà Stato terzo) e, ritenendo possibile che la perdita dello status di cittadino di uno Stato Membro comporti anche la perdita della cittadinanza dell’Unione, il Tribunale di Amsterdam ha ritenuto opportune deferire la questione alla Corte di Giustizia per ottenere maggiore chiarezza.

Le parti nel processo olandese hanno avuto tempo fino al 14 febbraio 2018 per commentare la decisione di rinvio. In particolare, con la prima domanda che il Tribunale olandese intende presentare alla Corte di Giustizia, viene chiesto se la Brexit implichi che i cittadini britannici perdano automaticamente la loro cittadinanza europea e tutti i diritti che ne derivano, compresa la libertà di circolazione. Se la risposta alla prima domanda dovesse essere negativa, viene altresì domandato se debbano essere imposte condizioni o restrizioni al mantenimento dei diritti e delle libertà derivanti dalla cittadinanza dell’Unione.

La futura sentenza della Corte avrà conseguenze di vasta portata per i cittadini britannici che attualmente vivono in tutti gli Stati Membri, anche alla luce della recente dichiarazione della Premier britannica Theresa May, per la quale i cittadini europei che arriveranno nel Regno Unito durante il periodo di transizione non godranno degli stessi diritti di chi vi si è stabilito prima della data di uscita.

 

Davide Scavuzzo

 

[1] Si vedano gli articoli 21, 22 e 23 TFUE.

[2] Si veda il seguente LINK.

[3] Si veda l’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, che riconosce alcuni diritti e libertà oltre quelli che già figurano nella Convenzione e nel Protocollo addizionale alla Convenzione, disponibile al seguente LINK.

[4] Si veda l’articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e gli articoli 8 e 12 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, disponibile al seguente LINK.

[5] Disponibile al seguente LINK.

[6] L’articolo 70 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati dispone quanto segue: “… 1. Unless the treaty otherwise provides or the parties otherwise agree, the termination of a treaty under its provisions or in accordance with the present Convention:

(a) Releases the parties from any obligation further to perform the treaty;

(b) Does not affect any right, obligation or legal situation of the parties created through the execution of the treaty prior to its termination. 2. If a State denounces or withdraws from a multilateral treaty, paragraph 1 applies in the relations between that State and each of the other parties to the treaty from the date when such denunciation or withdrawal takes effect…”.

[7] La Commissione per il Diritto Internazionale dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per promuovere lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione. Si veda il seguente LINK.

[8] Si veda il seguente LINK.