ALL’INDOMANI DEL REFERENDUM BRITANNICO, CI SI È SUBITO DOMANDATI QUALE SARÀ L’IMPATTO DI BREXIT SUGLI IP RIGHTS PANEUROPEI, CIOÈ MARCHI UE E DESIGN COMUNITARI. IN PARTICOLARE, OLTRE CHE IL REGIME DELLE PRIVATIVE FUTURE, AGLI OPERATORI DEL DIRITTO E DEL MERCATO INTERESSA LA SORTE DI QUELLE GIÀ ESISTENTI.
Dato che questi titoli hanno validità ed efficacia unitaria in tutti i 28 Stati membri dell’Unione Europea, e che il Regno Unito, una volta effettivamente uscito dall’Unione, non sarà più tra questi, marchi UE e design comunitari non potranno più garantire automatica protezione nel territorio britannico, salvo vengano conclusi degli accordi ad hoc nell’ambito dei negoziati di uscita.
Non è la prima volta che una situazione di questo tipo si presenta sulla scena internazionale. E’ infatti già successo, nella storia recente, che un processo di divisione politico-istituzionale abbia avuto ricadute sulla consistenza e la fruizione dei diritti di proprietà intellettuale protetti in quel territorio. In ciascuna (nuova) giurisdizione divenuta indipendente dopo la dissoluzione di una pregressa Federazione o Unione di Stati, si è avvertita, in particolare, la necessità di garantire continuità nella protezione degli IP assets già depositati a livello dell’ex Unione o Federazione.
L’ESEMPIO DELLA JUGOSLAVIA
Negli anni novanta, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia ha attraversato un graduale processo di dissoluzione, da cui sono sorti nuovi Stati nazionali, con retroterra storici e culturali alquanto diversi. Ciascuno di questi ha introdotto dei meccanismi per affrontare la fase di transizione, cercando di riprodurre nel proprio territorio l’estensione dei diritti IP precedentemente protetti a livello centralizzato.
In particolare, Slovenia, Croazia, Macedonia, Bosnia ed Erzegovina hanno previsto (con alcune varianti) un sistema di rivalidazione, mediante il quale i titolari dei diritti anteriori hanno potuto depositare una richiesta di estensione presso il nuovo Ufficio IP nazionale, preservando così il diritto di priorità acquisito con l’originaria registrazione jugoslava. Anche in Kosovo, dove è stato introdotto un sistema di protezione della proprietà intellettuale autonomo da quello serbo, è stato previsto un periodo di validazione di un anno (da Novembre 2007 a Novembre 2008), durante il quale è stato possibile estendere in Kosovo i pregressi marchi serbi, preservando i diritti anteriori.
In Montenegro, invece, lo scenario è stato un po’ diverso. Nell’ambito di questa nuova giurisdizione, infatti, è stato previsto che tutti i diritti IP registrati nella Ex-Jugoslavia anteriormente all’entrata in funzione dell’Ufficio IP montenegrino conservassero automaticamente validità ed efficacia come marchi nazionali, poi eventualmente da rinnovarsi come tali. Per quanto riguarda, invece, i marchi registrati successivamente alla data di entrata in funzione dell’Ufficio IP nazionale, è stato stabilito l’obbligo di rivalidarli durante un periodo improrogabile di un anno, tra il 2010 e il 2011.
L’ESEMPIO DELL’IRLANDA
Pochi anni dopo la separazione dal Regno Unito, nel 1927 anche nella Repubblica d’Irlanda furono istituiti gli appositi Uffici IP nazionali.
Per i marchi registrati britannici, venne prevista l’opzione di ri-registrazione in Irlanda con efficacia retroattiva alla data dell’originario deposito, da esercitarsi entro un periodo di 19 mesi e dietro il pagamento di una fee. Per il nuovo deposito irlandese non era previsto alcun esame, né la possibilità di proporre opposizione.
Quanto ai brevetti britannici esistenti, era prevista la continuità automatica della protezione anche in Irlanda, fino alla successiva tassa di rinnovo. Dopo tale data, era invece necessariamente richiesto un nuovo deposito, con il pagamento delle relative fees.
L’ESEMPIO DELL’UNIONE SOVIETICA
La disgregazione dell’Unione Sovietica nel 1991 ha dato vita ad una pluralità di nuove giurisdizioni indipendenti, con tradizioni culturali tra loro molto diverse, ciascuna delle quali ha poi adottato proprie leggi ed istituito propri Uffici nazionali per la protezione della proprietà intellettuale.
La Federazione Russa, ad esempio, nell’ambito di una serie di leggi in materia di proprietà intellettuale, ha stabilito che ogni registrazione sovietica anteriore mantenesse piena validità ed efficacia nel suo territorio nazionale, senza necessità di rivalidazione.
L’ESEMPIO DELLA CECOSLOVACCHIA
Nel 1993 la Cecoslovacchia si è divisa in due stati nazionali, aventi tradizioni storico-culturali piuttosto simili. I diritti IP già protetti nell’Ex Cecoslovacchia hanno mantenuto validità ed efficacia sia nella Repubblica Ceca che nella Repubblica Slovacca, con l’obbligo di versare le relative fees ai rispettivi Uffici IP.
I TITOLI INTERNAZIONALI ESTESI ALL’UE
Il problema intercetta, oltre che i marchi UE e i design comunitari, anche l’estensione all’Unione Europea eventualmente prevista per i marchi internazionali (secondo il Sistema di Madrid) o per i design internazionali (secondo l’Accordo dell’Aja).
A riguardo, in particolare, nel Regolamento di esecuzione relativo all’Accordo e al Protocollo di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi è previsto che, laddove uno Stato successore abbia depositato presso l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO) una dichiarazione di continuazione avente l’effetto di renderlo parte del Sistema di Madrid, si produca la continuazione degli effetti di ogni registrazione internazionale già in vigore nel Paese (a sua volta partecipante al Sistema di Madrid) dal quale il nuovo Stato è divenuto indipendente. Ciò, a determinate condizioni: il titolare della registrazione deve, entro un certo termine, provvedere al deposito di un’apposita domanda e al pagamento di una tassa presso la WIPO.
In concreto, soluzioni di questo tipo sono state applicate, ad esempio, nell’ambito delle vicende jugoslava e cecoslovacca.
IL PARALLELO CON BREXIT
Le esperienze passate potrebbero fornire dei modelli di riferimento da applicare nei negoziati Brexit.
Dando per scontato che l’estensione automatica delle privative europee al Regno Unito non sia plausibile, se non durante un limitato interim period, potrebbe ad esempio essere ricalcata la soluzione jugoslava, fissando un certo lasso di tempo durante il quale i titolari di privative UE potrebbero esercitare un’opzione di rivalidazione, garantendosi così l’estensione del diritto IP europeo anche nel territorio del Regno Unito, senza perdere la priorità acquisita con l’originario deposito. Ciò avrebbe particolare importanza per soddisfare la condizione di protezione costituita dalla novità.
D’altra parte, è vero che un caso non è mai del tutto uguale ad un altro e non è scontato che si possa creare una piena corrispondenza fra marchi UE o design comunitari e le privative nazionali delle varie giurisdizioni poi disgregatesi. Nel caso Brexit, permane l’esistenza di un sistema giuridico sovranazionale, quello UE, che si occupa anche della materia industrialistica; invece, nell’ambito di varie esperienze passate (in particolare quelle jugoslava, sovietica e cecoslovacca), era venuta meno un’intera giurisdizione nel suo complesso (Ex Yugoslavia, Ex Unione Sovietica, Ex Cecoslovacchia), specie in concomitanza con un processo di transizione verso un differente sistema politico-economico (economia di mercato, democrazia).
In una certa misura, un parallelismo tra passato e presente si può però proporre. In generale, oggi come allora, la “buona sorte” e la conservazione della consistenza dei diritti IP nati prima della separazione politico-istituzionale potrebbe essere favorita dagli interessi delle imprese ad un processo di transizione che risulti il più fluido e rapido possibile, all’insegna della certezza del diritto. Queste esigenze ben potrebbero essere di stimolo agli aggiustamenti tecnico-giuridici opportuni per garantire comunque l’estensione delle privative unitarie UE anche al Regno Unito post Brexit.
Giulia Beneduci