LA NOTIFICA DA PARTE DEL REGNO UNITO DEL RECESSO DALL’UNIONE NON CONSENTE DI RIFIUTARE L’ESECUZIONE DI UN MANDATO DI ARRESTO EUROPEO EMESSO DALLO STATO USCENTE

Il 19 settembre 2018 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza relativa alla Causa RO[1], si è pronunciata in merito all’esecuzione, nel periodo transitorio successivo alla notificazione della propria intenzione di recedere dall’Unione Europea, di un mandato di arresto europeo emesso dal Regno Unito.

Il mandato di arresto europeo (MAE) è stato istituito dalla Decisione quadro del Consiglio 2002/584/GAI del 2002[2] ed ha sostituito le gravose procedure di estradizione previgenti tra gli Stati Membri[3].

Nel caso di specie, il Regno Unito aveva emesso due mandati di arresto nei confronti di RO, ai fini di esercitare l’azione penale per i reati di omicidio, incendio doloso e violenza sessuale. Sulla base di tale MAE, RO era stato arrestato in Irlanda. L’imputato si è opposto alla propria consegna al Regno Unito, adducendo, tra l’altro, motivi inerenti al recesso dall’Unione.

La High Court irlandese ha respinto tutti i motivi presentati da RO, ad eccezione di quello relativo alle conseguenze della Brexit in quanto, quando RO avrà scontato la propria pena detentiva, il Regno Unito non sarà più membro dell’Unione e bensì uno Stato terzo. La High Court ha quindi deferito la questione alla Corte di Giustizia, chiedendo se, tenuto conto del fatto che in data 29 marzo 2017 il Regno Unito ha notificato la propria intenzione di recedere dall’Unione e considerando l’incertezza relativa agli accordi che interverranno a seguito del recesso, il MAE vada ugualmente eseguito.

La Corte ha ricordato, innanzitutto, che sulla base della fiducia reciproca che ha portato all’adozione del MAE, l’esecuzione del mandato costituisce un principio generale, mentre le ipotesi di rifiuto sono eccezioni da interpretarsi restrittivamente. La Corte ha inoltre sottolineato che la notifica della volontà di recedere dall’Unione conformemente all’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) non sospende l’applicazione del diritto dell’Unione in tale Stato Membro. Pertanto, la sola notifica non costituisce una circostanza “eccezionale” tale da consentire il rifiuto di eseguire il MAE.

Spetterà in ogni caso all’Autorità giudiziaria dell’esecuzione esaminare se sussistano ragioni comprovate per ritenere che, a seguito del recesso del Regno Unito dall’Unione, la persona oggetto del MAE rischi di essere privata dei propri diritti fondamentali. Nel caso di specie, secondo la Corte, tale situazione non sembra ricorrere, in quanto il Regno Unito è parte della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU)[4], nonché della Convenzione Europea di Estradizione del 13 dicembre 1957. Inoltre, lo Stato uscente ha recepito nel proprio diritto interno diversi diritti ed obblighi derivanti dalla Decisione quadro del 2002 e, pertanto, secondo la Corte, si deve ritenere che tali diritti ed obblighi saranno rispettati anche dopo la Brexit.

 

[1] CGUE 19.09.2018, Causa C-327/18 PPU, RO.

[2] 2002/584/GAI: Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri – Dichiarazioni di alcuni Stati membri sull’adozione della decisione quadro. GUUE L 190 del 18.07.2002.

[3] Si veda il nostro precedente contributo relativo agli effetti della Brexit sul regime di estradizione, disponibile al seguente LINK.

[4] L’adesione alla CEDU non è subordinato alla permanenza nell’Unione Europea.